Buongiorno Gigi. Lascio a te l’onere di delineare una tua breve biografia artistica.
Bene… Ho cominciato a dipingere a 16 o 17 anni. Un vicino dei miei, pittore dilettante, mi aveva regalato una tela e dei colori a olio. A vent’anni vado a Londra dove espongo per strada. Decido di passare alla fotografia. Mi iscrivo ad un corso estivo del Royal College of Art; faccio il fotografo per 10 anni. Nel frattempo mi innamoro della scultura. Lascio la fotografia e incomincio a modellare corpi, manichini; collaboro con i più importanti stilisti del momento: Versace, Ferré, Armani, Valentino, Balenciaga, McQueen. Sul finire degli anni 80 riprendo la pittura. Espongo in diverse città: Milano, Tokio, New York, Dusseldorff, Montreal. Contemporaneamente proseguo con le sculture dei corpi che diventano manichini e tornano sculture. Espongo al Metropolitan Museum per Dior; al Guggheneim per Armani; all’Ara Pacis e Somerset House per Valentino; al Castello Sforzesco per Versace; al Palais de Tokio per Chloé; al Musée des Arts decorative per Balenciaga. Nel 2020 mi affidano il progetto della lobby della nave “Costa mediterranea”: una scultura di 16 figure. Espongo al 1° Miami Basel, nel 2002.
Nello stesso anno a Milano nasce Artandgallery, uno spazio multimediale che nei suoi 10 anni di vita avvicina l’arte contemporanea ai giovani con mostre a tema. L’ultima dedicata Arturo Schwartz. L’incontro con Arturo è stato fondamentale: mi ha incoraggiato a mostrare la mia arte, visto che avevo scelto di non esporre più le mie opere. Ha curato una mia mostra a Milano. Persona fantastica.
Ora sto lavorando su diversi progetti.
Quando hai cominciato a considerati un artista?
Ho cominciato a nutrire dubbi sul mio futuro a 13 anni. A 17 ho pensato che fare l’artista sarebbe stato il non plus ultra. A considerarmi un artista mai: o sei o non sei.
Ti esprimi, oltre che con la pittura -acrilici su tela e acquerelli su carta- anche con la scultura; cosa ti spinge a provare tutte queste differenti modalità di espressione? C’è uno di questi mezzi artistici che ti è più congeniale?
Io sono irrequieto ed insoddisfatto di quello che faccio. Non mi basta mai. Sperimento. Prima avevo uno studio enorme: la fabbrica di manichini; quindi più facilità nel fare scultura. Ora questo non c’è più e la scultura ne risente perché ha bisogno di spazio. La pittura, invece, è più semplice, la posso fare in casa. Oltretutto io lavoro da solo, senza assistenti. Il mio amore rimane però la scultura, dove, sicuramente, ho ancora molte cose da dire.
Quale è la molla che fa scattare l’idea che porterà all’opera?
Passo il tempo a cercare di capire. Leggo di tutto; non ho la televisione. Zigzago nella mia mente, nel senso che cerco diversi linguaggi per dire la stessa cosa con angolazioni diverse. Non mi interesso del mercato. Molte idee mi vengono la notte. Alcune opere le sogno o vedo i colpi di pennello da dare o come modellare. Spesso sono insoddisfatto del risultato e distruggo e rifaccio. E ri-sogno come aggiustare il tutto. È quello che succede o succederà nel mondo a farmi pensare.
Ci sono artisti (contemporanei o passati) ai quali ti sei ispirato o ti ispiri?
Sono autodidatta: la scultura me la sono imparata nel reparto gessi della fabbrica di manichini: mi ispiravo a Brancusi, Arp, Melotti, ma anche ai classici greci e a Michelangelo anche se la mia idea è sempre stata quella di andare oltre il corpo umano. In pittura mi piacciono molti artisti: Matisse, Bosch, Piero della Francesca, Caravaggio, Mondrian, Kandinsky, gli Espressionisti tedeschi. Mi piace la ricerca del colore e l’astrazione, alla quale tendo.
Mi sembra di poter dire che in molte tue opere -se non in tutte- sia evidente una carica primordiale, espressionistica coniugata ad uno spirito che possiamo trovare in quello della Nuova Oggettività tedesca (per quella tendenza che hai nel rivolgere il tuo sguardo “oggettivo” sul nostro mondo). Sei d’accordo? Le poetiche degli espressionismi storici hanno avuto influenze sul tuo lavoro? Ritieni che esse abbiano ancora un loro valore attuale, diverso -intendo- dalla loro rilevanza per la storia dell’arte?
Henri Cartier-Bresson diceva che una foto -nel mio caso un’opera- nasce dall’incontro dell’occhio, del cuore e della testa. Io cerco di seguire il mio istinto nell’eseguire un lavoro facendo in modo che il lato estetico funzioni con la mia idea e la mia irrazionalità. A volte, il mio istinto mi porta a lavorare di getto, ma ci penso prima a lungo. Di sicuro vengo inconsciamente colpito dal mondo esterno cha fa lavorare la mia testa che ad un certo momento muove le mie mani e parto e non mi fermo fino a quando non finisco. Anche se ultimamente, il giorno dopo, rifletto sul lavoro fatto ed intervengo sui dettagli o sul complesso di tutta l’opera. Per quanto riguarda gli espressionisti tedeschi, mi piacevano: esprimevano la libertà nel fare il loro lavoro e vivevano di conseguenza. Non credo che questa libertà di fare arte e vedere il mercato oggi sia attuale. Anche se per me essere libero è fondamentale per esprimere le mie idee.
Come nascono i titoli delle opere?
Io per una vita non ho mai dato un titolo alle mie opere. Solo negli ultimi anni mia moglie mi dice che bisogna dare un titolo. Io lavoro su idee che poi sviluppo in una serie che al massimo ha 10/15 quadri. Alla serie do dei nomi: Cross Stories, Way Out, City of life, Web, Metamorphosis ecc. i nomi sono riferimenti a mie esperienze personali o a quello che mi sembra stia succedendo nel mondo.
Il colore nei tuoi lavori è un elemento chiave: cosa vuol dire per te colore? Cosa cerchi di trarne?
Non do un significato ad ogni colore come Kandinsky. Per me il colore è astrazione, allontanamento dal soggetto quando c’è. Il colore è la forza di ciò che rappresenti senza rappresentarlo.
Che rapporto intercorre tra il colore e il disegno, intendo il tratto che dà vita alle tue figure?
Il disegno preparatorio mi serve -quando c’è- per capire come pensare il colore, quali colori. Ma i pentimenti sono tanti. Comunque, le figure sono accidenti di percorso. Io voglio solo astrarre, le figure mi servono solo per pensare, rilassarmi e non annoiarmi. Tranne gli Screamers che si riferiscono ad un momento particolare della mia vita. Quando dipingo non uso disegnare. Sto cercando di dipingere il nulla.
La bellezza di un’opera d’arte: dov’è? cos’è? È importante la bellezza in un opera d’arte?
Quando un’opera d’arte è un’opera d’arte ha tutto: equilibrio, disequilibrio, bellezza, talento dell’artista.
Enjoy Joy, 2019 Joy, 2019 Web, 2020 Web, 2020
Da una delle tue ultime serie, mi riferisco a Metamorphosis, rilevo la situazione che stiamo vivendo, questa emergenza epidemia, ha già avuto conseguenze sul tuo lavoro. Cosa mi puoi dire? Ritieni che in generale avrà conseguenze su quello degli artisti? Quali progetti per il prossimo futuro?
Metamorphosis, 2020 Metamorphosis, 2020
Siamo chiusi in casa per un motivo ben preciso, non si può non pensare a quello che succede e quindi sicuramente nei miei ultimi lavori il virus entra. Metamorphosis nasce come tentativo di distrarmi da un lavoro –Web– che sto facendo per una mostra a Mosca. È il contrario di quello che stavo facendo, come spesso mi capita. Dopo il bianco il nero. Ho pensato alle trasformazioni che lascerà il virus sulla gente, dentro la gente. Ho immaginato degli impossibili animali. Mi aveva fatto pensare la notizia che alla notizia del lockdown in Europa la gente “assaltasse” i supermarket, mentre in USA facessero la fila per comprare le armi. Tutto mi ha fatto pensare che la nostra natura primitiva tornerà forte e più avida. Per gli artisti non posso parlare. Il futuro chi lo sa? Avrei dovuto fare una mostra a Berlino a fine giugno, saltata. Quella a Mosca, chissà.
Screamers, 2018 Screamers, 2018 Screamers, 2018
Infine alcune di domande più personali: cosa temi di più? L’ultimo libro che hai letto e quello che tieni sul comodino? Scegli un oggetto e un’opera d’arte che, in qualche modo, ti possa rappresentare.
Temo il tempo che in questo momento della vita mi viene derubato dallo stare rinchiuso. Io leggo più libri contemporaneamente: uno su Kandinsky, “Open” di Agassi e “Delitto e castigo”. Sul comodino ho le “Metamorfosi” di Ovidio. Non riesco a scegliere né oggetti né opere anche se la plastica trasparente che usavo per fare oggetti mi ha sempre affascinato.
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