Interviste

Marco Andrea Magni

Marco Andrea Magni

Buongiorno Marco, lei è nato nel 1975. vive e lavora a Milano. Si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Brera, conseguendo un master FSE in Tecniche di Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive. Ha frequentato il corso in Arti Visive presso la Fondazione Antonio Ratti a Como curato da Angela Vettese e Giacinto di Pietrantonio, con Richard Nonas. Allo IUAV di Venezia ha partecipato a seminari di filosofia con Giorgio Agamben, di storia dell’architettura con Roberto Masiero e d’arte visiva con Remo Salvadori. Lavora con le gallerie FuoriCampo di Siena e la Loom Gallery di Milano. Sta per concludersi la mostra “Esercizi di ammirazione” a Milano, all’interno del progetto “Materie Spazi Visioni” ospitato dalla Building Gallery.

Giallofumo, 2020

Cominciamo dal profumo, un elemento di due sue opere in mostra. Cosa l’ha spinta ad usare il profumo; per lei, cosa implica, per la ricezione e la lettura dell’opera, il suo impiego? Che profumo è quello di “Verdefumo” e “Giallofumo”?

Verdefumo, 2020

L’odore della materia è una declinazione delle figure della vulnerabilità che mi interessava indagare in questa mostra. L’olfatto è il più primitivo e precoce dei sensi ed è la prima testimonianza del nostro essere al mondo. Giallofumo e Verdefumo parlano di una specifica profondità aromatica su una superficie di carta mouillettes nebulizzata attraverso dell’inchiostro. L’odore usato per i due inchiostri in mostra proviene dall’acqua di frutta realizzata a partire da un antico ricettario scritto da Vitruvio nel De Architectura: era necessaria alla fabbricazione di un mattone perfetto, in quanto capace di condensare l’argilla. Il comportamento e le caratteristiche di un materiale dipendono dalle proporzioni degli elementi al suo interno. Mi piace pensare che nel nostro frenetico mondo moderno, iper tecnologico, continuiamo a fare affidamento su un elemento costruttivo usato da tantissimi secoli. La costruzione di un habitat parte anche da questo: ogni luogo ha senz’altro un odore che si ama perché si riconosce. Visto che il motore della mia ricerca nasce sempre dalla biografia di un incontro, anche l’idea di toccare il profumo è nata da un precedente dialogo col mondo olfattivo di Giorgia e Ambra Martone.

Visitando la sezione della mostra dedicata alle sue opere, sono rimasto catturato dallo spirito ironico e giocoso che l’insieme emana, in un delicato equilibrio tra serietà delle opere e dei temi affrontati e il modo in cui le opere si pongono nei confronti dello spettatore. Il gioco ha un ruolo nell’essere artista? e per lei in particolare?

Ho giocato con il concetto di building (costruire) per sollecitare i sensi e mettere in discussione le regole di convivio e convivenza, significa per me nello stesso tempo provare la propria esistenza. Gli equilibri dei materiali e dei rapporti sono precari ma al tempo stesso si possono trasformare in qualcosa di duraturo attraverso un ritrovato passaggio simbolico (simboli della fragilità tramutati in fondamenta indistruttibili). Il vuoto relazionale trasformato nel tempo in un’antropologia della solitudine da Augé sembra ridettare delle nuove regole e nuovi spazi. L’arte è sostanza vitale, inquietudine, attenzione, vulnerabilità, pratica condivisa, responsabilità e possibilità.

A proposito di acqua di frutta, quale processo ha dato vita a “Tornasole”?

Tornasole, 2017-2020

Tornasole è il residuo dell’acqua di frutta placcato d’oro. È un’idrografia presentata attraverso un sedimento d’acqua su un tessuto di ottone dorato. Tornasole diventa così un gradiente di intensità e luce. L’acqua di frutta è, come ho detto, uno degli ingredienti necessari per la fabbricazione di un buon mattone. È un composto di argilla, liquido di corteccia e tre frutti. Spesso lo ignoriamo o ne siamo inconsapevoli, ma le costruzioni intorno a noi hanno una grande storia! Questo diventa un modo anche per raccontare la storia dei materiali che hanno rivoluzionato l’arte della costruzione e dei modi di vivere.

Nelle opere in mostra sono, infatti, evidenti i richiami all’architettura, da dove nasce questa evocazione? Quale rapporto intercorre tra le sue opere e l’architettura?

      L’architettura non è un’astrazione concettuale, bensì una pratica incarnata, e lo spazio    architettonico si costituisce primariamente attraverso un’esperienza emotiva e multisensoriale. Le intenzioni creative della scultura entrano in questo progetto di mostra in punta di piedi cercando un’empatia nello e dello spazio. La consapevolezza emotiva nasce dalla biografia di un incontro: le opere sembrano occupare lo spazio intermedio tra due persone divenendo dei veri e propri stati corporei sentiti. La conduttanza cutanea sembra trasformarsi in parete, e così i materiali dell’architettura si rimescolano e si ripensano attraverso forme scultoree.

Parabola, 2020

Perché “Esercizi di ammirazione”?

Esercizi di ammirazione è pure il titolo di un libro di Cioran dove i ritratti di diversi autori sembrano diventare il suo stesso autoritratto. Nel mio caso la dimensione comportamentale dei materiali architettonici sembra suggerire una dimensione sociale che parla di ascolto, di condivisione e di ammirazione. In questo caso la restituzione visiva avviene attraverso un ritmo di marcatori emotivi: forme di terra, argilla e sabbia di battigia, superfici di velluto e sabbia di clessidra, tinte e odori di frutta rilassano l’occhio e il corpo, mentre delle lettere scritte a mano con un particolare inchiostro di galla (sono Manifesti e programmi per l’architettura del XX secolo [Parabola, 2020 -ndr-]) stimolano l’attività simpatica e l’appetito alla lettura. Il processo comune di costruzione diventa il segno distintivo della mostra e dell’atmosfera che si respira.

A proposito di titoli: l’immagine, per così dire, precede il lavoro o emerge “a opera fatta”? Come nascono, insomma, quelli delle opere?

Mi piace pensare ai titoli come se fossero dei veri e propri nomi di persona o parole polisemantiche che possono indirizzare il senso, lo sguardo e il destino dell’opera. Il titolo è parte integrante e trasfigura l’immagine richiamandola o allontanandola per una visione più profonda.

In generale, condivide con altri le idee per le sue opere o è un “solitario” della creazione artistica?

Le idee per prima cosa vanno fatte decantare per non diventare didascaliche e ripetitive. Per quanto mi riguarda mi piace pensare a due momenti dell’azione: un primo momento solitario dove ricerco gli ingredienti della torta e un secondo momento dove faccio assaggiare diverse fette per capire le reazioni. Ascoltare l’altro presuppone una fine modulazione del rapporto tra il corpo dell’idea, le emozioni condivise, la vita della mente e la materializzazione della stessa. Le mie idee sono tutto questo, un intreccio tra l’esperienza dell’io e quella dell’altro. Poi c’è sempre bisogno di capire il famoso tempo di cottura…

Cézanne diceva che un quadro doveva essere prima di tutto bello. Condivide? È importante la bellezza nelle opere d’arte?

La bellezza formale è un elemento che considero fondamentale per la nozione di percezione.
La percezione non è neutrale e ovviamente ha una sua genetica culturale che deve parlare il più possibile al plurale. Considero la bellezza come un primo catalizzatore dello sguardo, come un qualcosa che porta verso e che indirizza. È un espediente che manipola lo sguardo e il tatto. Il pudore di questo tema svela un’emozione sociale: il pregiudizio e la forma dello stereotipo. Le nature morte di Cézanne sono quasi sempre dominate dalla frutta. I suoi quadri sono pieni di un nuovo senso plastico che ci tocca, di atmosfera mista a stratosfera e di vitamina C!

Ci sono artisti ai quali si è ispirato o si ispira? Se sì, per quale ragione?

Gli artisti sono come gli odori, i colori, le forme o le immagini, sono delle intensità che ti porti con te. Il grande maestro è lo spazio intermedio tra due solitudini che hanno voglia di parlare e di ascoltare. Sarei tentato di farle alcuni nomi di artisti che frequento, ma non vorrei fare un torto a nessuno. Ecco, un maestro potrebbe essere semplicemente questo, il tracciato di un divenire condiviso.

Le poetiche minimaliste e concettuali che influenze hanno avuto sul suo lavoro? Ritiene che esse abbiano ancora un loro valore attuale, diverso – intendo – dalla loro rilevanza per la storia dell’arte?

Le poetiche artistiche sono come dei liquidi che ci scorrono nella nostra vita. Possono essere profonde, dissetanti, detergenti, appiccicose e nebulose. I liquidi non hanno forma e si limitano a prendere forma di ciò che li contiene. Se penso alla mia pratica che tiene conto della biografia di un incontro posso citare due artisti che ho conosciuto tanti anni fa sul mio percorso: un minimalista “caldo”, Richard Nonas, e un concettuale, Vito Acconci, che ha portato il “testo” in un contesto dell’arte visiva passando sopra il suo corpo. È quello spazio aggiunto che mi interessa di tutte le esperienze e di come una poetica ti possa attraversare rendendola un po’ tua. È il movimento che mi interessa, Richard che riscalda la superficie fredda e minimale di un elemento scultoreo e Vito che vive le sue parole offrendole allo spettatore attraverso il suo corpo declinato in una particolare architettura sociale.

Allestimento:
(da sinistra a destra)
Ora, 2015-2020;
Risvolto, 2020;
Ora, 2015-2020;
Risvolto, 2020;
Grain de veautè, 2016-2020.

Mi sembra di poter dire che il tempo (sia quello misurabile sia quello “psicologico”) sia un elemento almeno di alcune sue opere recentemente esposte alla Building (Ora, ad esempio): quale temporalità ha in mente quando realizza queste opere?

Con l’opera intitolata Ora, la prospettiva del tempo e dello spazio si rovescia. È una questione di tatto e di lontananza: è una superficie di velluto offerta come una sorta di pelle e marcatore somatico truccato per l’occasione con della sabbia di clessidra intrappolata tra il vetro e le impronte sul velluto. La dimensione temporale è come se sottolineasse il carattere pulviscolare dello spazio attraverso la sabbia. È un piccolo investimento sulla sensibilità e sul tempo.

In chiusura: l’ultimo libro che ha letto e quello che tiene sul comodino.

L’ultimo libro letto è la Dis-educazione di Noam Chomsky. Il libro che sto tenendo sul comodino è La pienezza del vuoto di Trinh Xuan Thuan.

Infine una domanda di stretta attualità: pensa che la situazione che stiamo vivendo, questa emergenza epidemia, avrà conseguenze sul suo lavoro e in generale su quello dei suoi colleghi? Quali progetti per il prossimo futuro?

Sto lavorando a Miart per settembre con la Loom Gallery di Milano e ad una mia personale che dovrebbe essere inaugurata a novembre sempre nella stessa galleria.
Questa epidemia ci ha costretto ad un momento di arresto e di riflessione senza precedenti. Sono vicino ai familiari delle vittime e a mia sorella che come medico sta facendo tutto il possibile per curare il prossimo. Noi dobbiamo tenere duro e rispettare delle norme igieniche che ci sono state suggerite. 

Grazie, Marco.

Grazie.

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