Arte contemporanea

Fabio Castelli

Se dovessi definire Fabio Castelli (Varese, 1953), l’artista, direi che è senz’altro uno scultore del silenzio; le sue opere un antidoto alla dimensione urbana e chiassosa della quale siamo quotidiani abitatori, capaci di aprirci una dimensione esistenziale differente da quella usuale.

Paesaggio scolpito.
f.: M. De Lucchi

L’immagine paesistica che ci viene presentata nelle serie dei “Paesaggi scolpiti” e delle “Isole” è, sì, quella tipica del paesino centritalico medievale, molto esaltata dalle riviste turistiche, eppure il modo in cui Castelli tratta la materia e lascia emergere la composizione la trasporta in una dimensione intima e domestica, quasi favolistica ove la visione del villeggiante in cerca di qualche giorno di relax è bandita, e al suo posto prende forma un suggerimento di vita in grado di far balenare nuovi stili nel rapporto con il mondo. 

Isola

Nonostante queste opere parlino dell’uomo e all’uomo, la figura umana è curiosamente assente. Eppure non dimenticata; è anzi evocata dalle case e dalle piazze. In queste opere l’Uomo, sia egli l’immaginario abitatore delle case sia egli il fruitore dell’opera, è invitato ad assistere: è, veramente, spettatore. Deve guardare, contemplare silenziosamente… e pensare la propria relazione con la natura e il mondo.

In queste due serie balza all’occhio (si vorrebbe averlo tattile) non solo la maestria, ma soprattutto il rapporto amoroso che lo scultore ha con i legni che intaglia e scolpisce. È dalle fibre dell’essenza lignea che germoglia il paesaggio (questa idea germinativa ben si addice a queste piccole sculture non solo per il legno, elemento vivo, che cresce e muore, ma anche per il potenziale immaginativo che liberano). Un paesaggio equilibrato, armonioso ed equo: “Ci sono paesaggi che nascono perché sono già dentro il ciocco di legno, o il blocco di marmo: basta togliere”. 

Equità. Equità è una caratteristica che ho ritrovato in queste sculture: i paesaggi che vediamo in questi lavori sono equi, giusti; equidistanti dall’esigenza umana di toccare, lavorare il mondo per adattarlo ai propri bisogni e dal rispetto immobilizzante per la natura.

Non si rimane indifferenti al cospetto della bellezza umile di questi legni -spesso di scarto-, che l’artista trasmette ai diorami che prendono forma in essi. Perché Castelli riesce -ed alcune opere lo testimoniano eloquentemente- ad integrare in modo perfetto i suoi interventi con la peculiare configurazione di ogni singolo pezzo di legno: esemplari sono le sculture ricavate dalle briccole (i classici pali di legno delle vie d’acqua veneziane). Il loro impiego impone a Castelli di confrontarsi con “l’intervento di un altro lavoratore, oltre a me, che non è solo il tempo, ma sono anche le teredini, molluschi che s’insinuano nella parte morbida del legno” creando dei “paesaggi” sui quali si innesta la sapienza artigiana dello scultore. Da questa armonica collaborazione nascono questi contesti paesistici, adeguati all’Uomo e alla restante vita che lo circonda.

Dal punto di vista formale, è interessante notare come in questi lavori il paesaggio, solitamente quinta della scena rappresentata, qui assurga a unico protagonista visibile dell’opera; inoltre, sempre formalmente, queste sculture potrebbero illustrare libri per bambini e ragazzi (se i bambini e i ragazzini, oggi, fossero educati a immagini semplici). Ma non si ritenga che questa loro possibilità denoti una visione edulcorata, buonista, naïf del rapporto con il mondo: una sorta di facile buonismo per il quale tutti dovremmo essere più attenti e rispettosi del mondo. No, queste sono felici, semplici rappresentazioni di una sincera concezione di vita che impegna, ed esige fatica: seghe (fossero anche giapponesi), sgorbie e scalpelli richiedono lavoro, pratica e dedizione. Così come curiosità e pazienza del pensiero richiede cogliere lo spirito profondo di queste opere; così come impegno serio e volontà richiede instaurare un differente rapporto con il mondo.

Un discorso parzialmente differente si può dedicare ai “Sensibili” (così chiamati perché reagiscono all’ambiente circostante). In queste opere le ascendenze proprie della scultura, ma in generale della tensione astrattista -anche se in una misura necessariamente meno polemica-, del periodo tra le due guerre sono evidenti.

Sensibile

Bruno Munari, ma anche Fausto Melotti e Alexander Calder (il richiamo ai Mobiles è automatico) sono i precedenti espliciti di questa ricerca; e, passando sul fronte della pittura, non mi pare estranea neanche una certa astrazione poetica alla Osvaldo Licini. Il paesaggio si fa linea, losanga, ondulazione. I “Sensibili”, pensati come studi per una (eventuale) realizzazione su scala urbana e pubblica, hanno, inseriti nel percorso artistico di Fabio Castelli degli ultimi anni, dignità di opere. “Sono anch’essi paesaggi” afferma lo scultore (il marchigiano Licini scriveva, a metà del secolo scorso: “Dal reale all’astratto.”). Se sono paesaggi, lo sono nella semplificazione immaginata, e sentita, dall’artista: i tronchi degli alberi si fanno esili steli, le chiome falci di luna, le montagne e le piazze profili netti. La figurazione delle altre serie si fa qui astratta, irrealistica e riconoscibile per comparazione. Sono paesaggi. Anche dell’armonia, del ritmo, del respiro. 

Pitture tridimensionali, si potrebbe anche definire soprattutto questi ultimi. Una concezione pittorica, infatti, (aniconica, astratta) sembra aver guidato la loro realizzazione: i “sensibili” sono costruiti su uno ‘sfondo’ sul quale la geometria sensibile di questi paesaggi acquista la sua propria presenza.

opera in carta. f.: F. Castelli

Accomuna tutte queste opere, rappresentandone propriamente l’animo, un minutismo (presente anche nelle opere di maggior impegno dimensionale) impregnato di sensibilità e cura, di attenzione per le piccole cose.

Avviluppate dai medesimi sentimenti, circonfuse dalle medesime preoccupazioni, espressive di una fragilità coraggiosa sono anche le opere in carta che ripercorrono i temi paesistici cari a Castelli. 

Sensibile

Regna un’armonia silenziosa in tutti questi mondi: geometrica nei “Sensibili”, ove luminosi sono i rapporti tra pieni e vuoti, tra gravità e slancio, tra peso e leggerezza, tra volumi ed evanescenze, tra stare e partire. Più spontanea e naturale -per dir così- nei “Paesaggi” e nelle “Isole”: essa sembra trovarsi già nella materia e l’artista riesce con la sapienza del mestiere e il tatto dell’amante a coglierla. Insomma, queste ultime sono esemplari di un “levare” che esalta le nervature e i fasci fibrosi del legno; i primi, invece, esempi di un “mettere” dominato dalla musicalità della linea e dalla equilibrata leggerezza.

Minuzie che colmano abissi.

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