Arte contemporanea Mostre

Paolo Parisi – The Weather was Mild on the Day of my Departure

Allestimento piano terra: tele della serie “The Whole World in a Detail (Fabric)”, 2020; f.: L. Morfini

Paolo Parisi. The Waether was Mild on the Day of my Departure”, la personale milanese di Paolo Parisi, a cura di Lorenzo Bruni, è introdotta da una citazione dell’artista in apertura del foglio di sala: “La pittura è superficie e stratificazione. La pratica della pittura, invece, si risolve nella riflessione sul linguaggio della pittura stessa e sul come si vedono le cose” (dicembre 2020).

The Whole World in a Detail (Fabric), 2020 (dettaglio)

Un’affermazione dal sapore modernista: il richiamo alla superficie ricorda le convinzioni di Clement Greenberg, il “campione” della critica modernista, relative alla piattezza e alla bidimensionalità che dovrebbero caratterizzare le pitture che veramente vogliono dirsi tali; eppure, già parlare di stratificazione immette un elemento di disturbo, in quanto il consapevole sovrapporsi degli strati distrugge l’illusione di un piano puramente visuale (per parafrasare Greenberg), riproponendo allo spettatore la profondità spaziale e architettonica di un dipinto che si fa ‘oggetto’. Addentrandosi nella prima sala e osservando i dipinti della serie “The Whole World in a Detail (Fabric)” che aprono il percorso espositivo, le opere scoprono, fin da subito, la loro ambivalenza: una superficie apparentemente monocroma lascia emergere, grazie ad una speciale ‘pettinatura’, il sostrato dipinto (generalmente con il colore complementare allo strato superficiale) che mette in atto un vivace gioco percettivo il quale diventa -a tratti e in particolari esemplari (il primo ad esempio)- quasi illusionistico, capace di ‘simulare’ (non saprei dire quanto l’effetto sia propriamente ricercato) una tridimensionalità di marca architettonica. Questo continuo rimpallo tra una dimensione formalistica e una più pittorica è il leitmotiv dell’intera mostra. Scoprire che l’artista in questi dipinti rimanda “alla preziosità illusoria delle stoffe tipica della pittura rinascimentale” (si legge nel foglio di sala) rende ancora più evidente che siamo davanti ad una pittura che atteggiandosi ad astratta non disdegna il richiamo mimetico: queste tele ripropongono l’impressione di scampoli distesi dopo essere stati a lungo ripiegati (l’effetto è ottenuto grazie ad un’attenta disposizione della pasta cromatica opportunamente ispessita).

The Whole World in a Detail, 2017-19

Nell’opera di Parisi pare, inoltre, prendere forma un confronto con la tecnologia, sia quella antica (tessile: serie “The Whole World in a Detail (Fabric)”, 2020) sia quella contemporanea (immagine digitale: “The Whole World in a Detail”, 2017-2019), ed, in fondo, anche quella edile (il prefabbricato: U.S.A.I.S.O., 2013). Con questo confronto s’insinua nel lavoro dell’artista catanese la figura dell’Uomo: il tessuto che lo veste, la casa che lo accoglie e protegge, le immagini con le quali pensa e progetta. Se nel primo caso la tecnica pittorica mima il lavoro del telaio nella riproposizione di trama e ordito; nel secondo caso, la stratificata disposizione dei colori è chiamata a dare vita all’ingrandimento di un’immagine digitale della quale si possono, per tal via, contare i pixel di cui è composta. Sono anche opere socraticamente ironiche: si pensi all’ironia di un olio su tela che presenta la tela medesima, non lasciandola a vista o grezza (come avrebbe fatto a suo tempo Robert Ryman), ma, più ambiguamente, dipingendone, ingrandita, una porzione, in un continuo corto-circuito che lega riflessione sui mezzi propri dell’arte e figurazione illusionistica. Affascinante il risultato che l’artista ottiene: il frutto di processi operativi resi evidenti e non celati (alcuni titoli lo denunciano anche apertamente: è il caso di U.S.A.I.S.O., acronimo per Uno Sull’Altro In Senso Orario) rimanda ben oltre il processo stesso, in una dimensione immaginativa ed evocativa tipicamente umana. Nelle tele monocrome pur essendo mostrata la stesura del colore, lo spettatore vede qualcos’altro; in U.S.A.I.S.O., pur essendo evidente la costruzione stratificata, vale dire il sovrapporsi -potenzialmente infinito- di strati di cartone (e gesso) ritagliati (“prefabbricati”), il riferimento architettonico risulta altrettanto evidente.

“… e stratificazione”, appunto. La sovrapposizione di strati, siano essi pittorici o di altro materiale, è elemento formale centrale in tutte le opere esposte. L’aspetto della stratificazione è illustrato anche nella meno fisica delle opere presenti in mostra (e, forse, quella meno necessaria all’economia espositiva): Untitled – Postcards (Film), 2013. Come può evincersi dal titolo si tratta di un video, in cui immagini figurative e monocrome appaiono sovrapponendosi le une alle altre con effetti di dissolvenza. Già abbiamo citato U.S.A.I.S.O., 2013, in cui è lampante la sovrapposizione degli strati che la compongono.

The Whole World in a Detail, 2017-19 (dettaglio)

In The Whole World in a Detail, 2017-2019 (al piano terra), invece, gli strati di colore non si sovrappongono uniformemente su tutta la tela, ma differenti porzioni della stessa, corrispondenti ai differenti pixel dipinti, sono costruite ognuna con un numero maggiore o minore di strati pittorici con una sensazione di materialità ben visibile nell’opera finale: i “pixel” non differiscono solo per colore, ma anche per spessore (che varia considerevolmente), in questo modo ciò che è essenzialmente una sequenza numerica viene reso fisico (permettendoci di considerare anche che queste sequenze numeriche sono archiviate e sono rese visibili grazie ad un complesso e vario apparato fisico: cavi, dispositivi di memoria, elaboratori ecc. ecc.).

The Whole World in a Detail, 2017-19 (dettaglio)

La stratificazione, dunque, consente la percezione di uno spazio ‘fuori da quadro’; non si ha più a che fare con uno spazio che solo l’occhio può percorrere, è, al contrario, uno spazio che si può toccare perché gli spessori della pasta cromatica non sono meri accidenti della pittura che deve deporre sulla tela i colori, ma sono deliberatamente impiegati come medium. Anche le “sbavature” che aggettano oltre il bordo della tela (evidentissime in The Whole World in a Detail, 2017-2019) pur sottolineando lo strumento pittorico ‘colore’ portano lo spettatore nello spazio volumetrico reale, fisico, scultoreo e architettonico (da qui la giustificazione espositiva di un’opera come U.S.A.I.S.O., 2013, la cui disposizione a strati costruisce, letteralmente, modelli tridimensionali di abitazioni vagamente mediterranee); alludendo, dunque, nuovamente allo spazio quotidiano che viviamo e percepiamo con i nostri corpi tattili.

The Whole World in a Detail, 2019; f.: L. Morfini

La visita, poi, continua al piano superiore. Trait-d’union formale è The Whole World in a Detail, 2019, opera le cui dimensioni e la distanza dalla quale è possibile apprezzarla rendono la simulazione dell’immagine sgranata affatto chiara. L’esposizione prosegue con le opere che danno il titolo alla mostra, “The Weather was Mild the Day of my Departure”: una serie di dittici del 2018, ridotti per dimensioni, composti da fotografie dello Stretto di Messina, ognuna affiancata ad un olio su carta che, come nel caso, variato ma assimilabile, di “The Whole World in a Detail”, fa memoria di un dettaglio (non sempre perspicuo) della fotografia. Nella medesima sala sono esposti, appesi al soffitto, tre lavori in tessuto (la serie, recentissima 2021, “Alle ragazze d’Italia”): grandi tele in poliestere stampato con immagini tratte dall’archivio personale di Parisi sono ricamate con elementi decorativi tratti da “un manuale di cucito”, in un continuo rimando tra figurazione e astrazione che si deposita nella trasparenza dell’immagine figurativa stampata cui fa da controcanto la materialità segnica del ricamo. 

Allestimento 1° piano: serie “Alle ragazze d’Italia, 2021; f.: L. Morfini
Alle ragazze d’Italia, 2021 (dettaglio)

“La pratica della pittura, invece, si risolve nella riflessione sul linguaggio della pittura stessa e sul come si vedono le cose”.

Questo può essere vero dal punto di vista dell’artista. Ma lo spettatore non è artista e quindi possiamo chiederci: se per l’artista che fa la pittura essa è un fare, una pratica appunto e, attraverso questa pratica, egli può criticare i mezzi con cui agisce e può porsi la domanda su come si vedono le cose che egli produce (in quanto pittore, egli produce forme visive, rappresentazioni), lo può fare proprio perché egli mette mano alla specifica pratica con la quale realizza queste forme. Ma non può dirsi lo stesso dello spettatore che non fa pittura e che non può, quindi, direttamente relazionarsi con il fare pittorico, non può risolversi nella “riflessione sul linguaggio”. Per lo spettatore, la pittura è fatto o, forse meglio, esperienza di un fatto. Cosa ‘produce’ questa esperienza a livello della visione dello spettatore? Direi che è la possibilità per lo spettatore di recepire simultaneamente (proprio perché non coinvolto nella pratica; proprio perché non immerso nel fare, ma libero di teorizzare/vedere) sia i mezzi sia il contenuto che questi mezzi trasportano oltre il loro essere mezzi. Si tratta, in pratica -mi si conceda il gioco di parole-, davanti a queste opere (rappresentazioni di rappresentazioni (metarappresentazioni), di riuscire a cogliere il continuo rimando medium-illusione, significante-significato.

Galleria Building, via Monte di Pietà 23, Milano – 19 gennaio 2021 ¦ 6 marzo 2021 prorogata fino al 27 marzo

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