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Doyen, Il miracolo degli Ardenti, 1767

A. Vestier, ritratto di Doyen, 1781

Questa situazione sanitaria, gestita con la modalità da Medioevo (nel senso propio letterale, quando esistevano strutture sanitarie -diciamo così- diverse dalle nostre) dell’allontanamento sociale, mi ha fatto tornare a guardare un quadro di Gabriel-François Doyen, Il miracolo degli ardenti, 1767 che ha come soggetto la liberazione di Parigi dal cosiddetto Mal des Ardents che non si sa bene se fosse la peste bubbonica o l’ergotismo. Il male, comunque, riceve la sua denominazione per la sensazione di insopportabile bruciore che attraversava le carni del malato.
Doyen dipinge un quadro del genre maître, come era definita nel ‘700 la pittura di storia che ricavava i propri soggetti dalla storia antica, religiosa e mitologica, oppure anche dalla storia più recente: era il genere più importante della scala gerarchica della rappresentazione pittorica, seguito da altri generi come ritratto, pittura di genere, nature morte ecc…

Il miracolo degli Ardenti

Il fatto ispiratore accade nell’anno 1129 quando Parigi fu devastata dall’epidemia, cessata in seguito ad una processione delle reliquie di Santa Genoveffa (oggi, il sostegno spirituale non è più considerato necessario… a giudicare dalle limitazioni che il barbaro governo, presieduto dal Sig. Conte, ha ritenuto d’imporre).

Il quadro, più di 6,5m per 4,5m, dipinto per la chiesa di Saint-Roch venne considerato un capolavoro al Salon del 1767. La scena si sviluppa verticalmente, nelle adiacenze di un edificio, dalla prospettiva non perspicua, che si sperde tra fumi e vapori.

Dettaglio dei putti e del pastorale

Al vertice, non solo pittorico, si vede la Santa, dipinta, leggermente decentrata, nella lunetta; lo sguardo è rivolto al cielo, le mani alla terra per invitare la Luce divina che l’avvolge a portare conforto; è sostenuta da uno spumoso cumulo di nubi proveniente dalla parte superiore della lunetta. Immediatamente sotto questa “celeste portantina” e vicini a Genoveffa alcuni paffuti angioletti sembrano giocare con il pastorale della Santa (uno dei suoi attributi iconografici). Come nota Diderot, la scena è allegra e inadatta alla tristezza del soggetto.

Sotto questa porzione, da destra a sinistra e dall’alto verso il basso, si sviluppano tre situazioni principali. Un uomo con cappuccio e veste chiari, lo sguardo stralunato, un braccio proteso al cielo pare lanciarsi da una porta-finestra, ma viene trattenuto da due figure di cui vediamo le spalle. Una scena il cui dinamismo è giocato sui moti contrastanti del malato e dei due soggetti che lo fermano. Poco più in basso e spostati più verso sinistra, la scena più toccante: un coppia, riccamente abbigliata e attorniata da tre ancelle, invoca per la salvezza del figlioletto, quest’ultimo (figura veramente straziante) piange e si contorce, sul piccolo  volto una smorfia dolorosissima. La madre, disperata, afferra la manina del bimbo che si contorce tra le braccia del padre, anch’egli rivolto al cielo, con rassegnata tristezza. Infine, nell’angolo inferiore sinistro, due figure maschili: quella in primo piano, seminuda, una gamba distesa e l’altra piegata al ginocchio, si afferra con disperata violenza la carne sotto il costato, l’altro braccio alzato verso la Santa rafforza lo sguardo implorante. Figura possente, esprime pienamente la disperazione del moribondo, è sostenuta da un secondo uomo anch’egli rivolto a Genoveffa. Altre situazioni, poi, contribuiscono alla drammaticità della rappresentazione: una donna, livida, morta, giace ai piedi della predella; si protende verso il suo viso un ragazzino, ormai orfano. Nell’angolo destro in basso, due cadaveri; uno, riverso, braccia a penzoloni, pende dalla stessa predella su cui trova posto il gruppo famigliare. Il secondo, di cui si vedono solo i piedi, è abbandonato nell’angolo, al buio.

Dettaglio dell’uomo trattenuto

Drammaticamente teatrale, la rappresentazione è tutta giocata su un forte effetto chiaroscurale e un colorismo barocco debitore di Rubens. Tonalità ocra gialle e rosse costituiscono la base cromatica del dipinto; esse sono interrotte da gialli incandescenti attorno alla Santa, dalla macchia bianca del vestito della madre e sono insidiate dal grigio e dal nero. 

Tutto concorre a un’atmosfera tormentata e sofferente. Lo stesso svolgersi dei colori è in relazione all’apparizione: il pittore sembra aver colto il momento in cui la Gloria divina (la luce bianca e quasi abbagliante) entra nella storia e comincia a contrastare le tenebre, che si rintanano al cantuccio opposto, là dove sono i morti e i trapassati.

Ma qualcosa nuoce alla composizione. 

Abbiamo detto che il vertice del dipinto è Santa Genoveffa, alla quale tutte le figure si relazionano: dagli sguardi alle posture dei personaggi, tutto è rivolto alla Santa; anche i colori.

Potremmo tracciare immaginarie rette tra i gruppi che abbiamo individuato e la pastorella di Nanterre: avremmo così una disposizione a raggiera. Ma il rapporto con la figura celeste è l’unico punto di contatto tra questi gruppi. Il resto è separazione, non c’è rapporto tra essi e tra loro e il resto del dipinto. Questa sensazione di isolamento è accentuata dalla limitata profondità della rappresentazione: l’occhio non discerne i singoli piani. S’immaginerebbe la Santa lontana nel cielo, per poi avvicinarsi su un secondo piano che ospiterebbe il delirante nell’atto di essere trattenuto, poi ancora più vicino a noi il gruppo dell’infante; ma in realtà quest’ultimo è schiacciato sul precedente e appiattito su sé stesso (tanto che le due donne che sorreggono la madre del bambino paiono due ritagli di carta, confondendosi l’una con l’altra). Infine il gruppo dei due uomini in primo piano dovrebbe aver maggior “aria” rispetto al gruppo precedente, ma il suo piano è troppo vicino a quest’ultimo. Tutta la composizione risulta, dunque, compressa in pochissimo volume, a dispetto delle costruzioni che si vedono là, sullo sfondo, piccole in lontananza. L’edificio avrebbe potuto contribuire a sviluppare un maggior volume per l’intera composizione, ma la sua non felice resa è complice di questo effetto di compressione. Le nubi che reggono Genoveffa, inoltre, sono un ostacolo alla visione: l’occhio si sperde nelle loro volute; in un certo modo, ci “sbatte” contro, ed è costretto ad interrompere il suo scorrere sullacomposizione. Separando in modo netto il cielo dalla terra, potrebbero addirittura insinuare che le intercessioni della Santa fatichino ad ottenere il loro benefico e salvifico effetto.

Dettaglio del moribondo

Diderot sottolinea la sconvenienza della presenza del “governatore della città riccamente vestito” in mezzo ai poveracci, e probabilmente in una situazione reale una tale promiscuità non si sarebbe verificata -almeno non nelle modalità immaginate da Doyen. Tuttavia, al nostro sentire una tale scelta potrebbe non dispiacere: abbandoniamo la verosimiglianza per abbracciare la sintesi di un’opera che accomuna nella disperazione tutti i ceti sociali.

Un’opera patetica e tragica; carica di colore, di dettagli ed elementi che però sovraccaricano l’occhio di informazioni, di azioni isolate, di contrasti che finiscono per rendere arduo ritrovare il punto d’armonia dell’intera composizione.

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