Mostre

Piet Mondrian – Dalla figurazione all’astrazione

Piet Mondrian (Amersfoort, 1872 - New York, 1944) Autoritratto, 1918
Jacob Maris, Barca da pesca, 1878

Accolto da una luce silenziosa e attutita, come muta, che s’amplifica imprimendosi sui quadri come raggio solare che irrompe dalle vetrate di una cattedrale (che in queste sezioni dell’esposizione, è gotica per una sorta di esuberanza e slancio di certe cromie e certe pennellate), lo spettatore cammina avviluppato da un’atmosfera laicamente religiosa, come se si trovasse tra le pagine di un libro d’arte tante sono le opere che egli rianda senza difficoltà. È invece la mostra “Piet Mondrian. Dalla figurazione all’astrazione” al Museo delle culture di Milano (per la cura di Benno Tempel): un’ampia retrospettiva del pittore olandese, campione, insieme al russo Malevich, dell’astrattismo geometrico, i cui inizi il visitatore scopre figurativi. Quattro sezioni, il cui allestimento -curato, anche se abbastanza ovvio- è confezionato alla maniera neoplastica, per dir così. Pareti dipinte con ortogonali placche dei colori primari, tipici del Mondrian più noto, accompagnano dapprima lo spettatore nell’ambiente artistico con cui il futuro astrattista ebbe a confrontarsi e da cui fu influenzato; ecco quindi una serie i dipinti della “Scuola dell’Aja”, un gruppo di artisti che si dedicavano, seguendo indicazioni francesi, alla pittura paesaggistica en plein air.

Sera sul Gein, 1906

Si passa, poi, al “Mondrian prima del 1908”, sezione in cui comincia ad esporsi il percorso creativo di Piet dalle opere paesaggistiche influenzate dalla succitata Scuola fino al progressivo abbandono del realismo. Il soggetto preferito di questo periodo, ma non l’unico, pare essere il mulino che s’innalza dal pianeggiante terreno, il polder, strappato agli acquitrini e alle acque. In queste tele figurative si intuiscono i contrasti, a queste date principalmente formali, tra verticalità e orizzontalità (la verticalità dei mulini o degli alberi contrasta l’orizzontalità del polder) che Mondrian farà esplodere nelle tele neoplastiche, con intenti non più unicamente formali. Il pittore, lasciata la china realista, sperimenta, quindi, una serie di fasi che dall’impressionismo (Corso d’acqua, campo con mucche e cielo con nuvola, 1902-05) e dal simbolismo (Sera sul Gein, 1906; Devozione, 1908: una fanciulla dai capelli color di fiamma vede senza guardare un aereo crisantemo: simbolo di spirituale bellezza) guideranno -e siamo nella terza sezione- “Mondrian dopo il 1908” (anno in cui avvenne il suo incontro con le teorie esoteriche e teosofiche) al fauvismo, al divisionismo (Studio pointilliste di una duna con crinale a destra, 1909) alla pennellata corta e scattante à la Van Gogh. Va detto che non sono opere potenti, attirano ma non rapiscono, vi è qualcosa in esse che sa di scuola, di prova, di tentativo. Con il senno di poi, lo stile si fa più definito con il soggiorno parigino del 1912: e il contatto con il cubismo.

Devozione, 1908
Studio pointilliste diuna duna con crinale a destra, 1909

Paysage, 1912, Composizione alberi I, 1912, Tableau n°4, 1913 sono opere cubiste nelle quali già si enuclea la ricerca che lo porterà a realizzare le composizioni della metà degli anni Dieci. Da qui in poi sarà tutto un purificare la forma determinata dalle sue caratteristiche peculiari e singolari per approdare all’universale, ad un arte letteralmente astratta, vale a dire che si sforza di astrarre / estrarre dalla realtà gli elementi di base, non più riducibili a forme più semplici (si possono ricordare senza particolare sforzo gli studi sull’albero o le composizioni dedicate a moli e oceani).

Tableau n.4 / Composizione n.VIII / Composizione 3, 1913
Composizione con linee e colore III, 1937

Passando per due esperienze in cui lo spettacolo sopravanza l’esperienza artistica, il video “Discovery of Mondrian”, un simpatico gioco in cui dettagli delle opere di Mondrian si sovrappongono e si scompongono armoniosamente e un’istallazione video-sonora (questa ha il merito -in verità- di provare a rendere “visibile e udibile” quanto l’olandese andava scrivendo sul rapporto tra musica e neoplasticismo a partire soprattutto dagli anni Venti) in cui elementi della grammatica pittorica dell’Olandese si combinano con musica jazz, lo spettatore giunge alle opere più celebri dell’artista di Amersfoort: le composizioni di griglie ortogonali e colori primari, lavori importantissimi che hanno contribuito significativamente a cambiare la cultura e l’approccio estetico moderno. (Ed infatti la quarta sezione è dedicata agli influssi che la poetica di Mondrian ebbe sul design, sulla moda, sull’arredamento.) Qui la scelta allestitiva decide di fare propria la convinzione dell’artista che riteneva che queste opere vivessero indipendentemente dall’ambiente ospitante. Ecco quindi che questi quadri sono esposti “astrattamente”, sono cioè illuminati da una fascio di luce (e ora l’ipotetica cattedrale sembrerebbe trasmutarsi in romanica per l’impressione di forte equilibrio che le opere emanano nonostante la mancanza di simmetria) che pare farle fluttuare, stare sospese nello spazio senza alcuna relazione con esso. L’esposizione si chiude qui, portandoci dove il titolo ci aveva promesso: all’astrazione.

Tableau I, Composizione con rosso, giallo e blu, 1921

Questa legittima scelta espositiva  tuttavia chiude la via alla comprensione di uno sviluppo che sarebbe divenuto più chiaro negli anni successivi per diventare evidente -a mio parere- con i cosiddetti “quadri a losanga” che l’artista dipinse tra il 1918 e il 1944. Questo sviluppo ha a che fare con la forza espansiva che questi quadri astratti hanno: una forza capace di farli irradiare nello spazio che li contiene e di farli estendere ben oltre la parete che li ospita per trasformare infine l’intero ambiente (è nello scritto “Casa-strada-città” del 1927 che l’artista preconizza questa espansione “universale” del neoplasticismo a partire proprio dai quadri nello studio del pittore, per passare alla strada e poi, infine, all’intera città).

In fondo, la quarta sezione della mostra, dedicata al design, testimonia proprio di questa capacità espansiva. Che è poi quell’aspetto che, da un punto di vista differente, colsero i neoconcretisti brasiliani degli anni Sessanta: inseminazione che con questa scelta allestitiva è invisibile. Bisognerà quindi attendere una nuova mostra che permetta di esplorare ulteriori dilatazioni dell’astrazione neoplastica.

Mudec – Museo delle Culture, via Tortona 56, Milano – 24 novembre 2021 ¦ 27 marzo 2022


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