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Mino Ceretti – La pittura come destino

Mino Ceretti. La pittura come destino è il titolo di questa compatta esposizione, seconda tappa del più recente percorso che il Museo Floriano Bodini di Gemonio dedica al gruppo artistico milanese del ‘Realismo esistenziale’, nato intorno alla metà degli anni Cinquanta del Novecento all’Accademia di Brera, per iniziativa di un manipolo di allievi, ventenni o poco più, di Aldo Carpi, tra questi, appunto, è Domenico Ceretti (Milano, 1930). Stagione artistica, quella del realismo, che ha rappresentato, per l’artista a cui il museo è intitolato, un periodo particolarmente importante per la sua formazione.

La mostra ordinata da Lara Treppiede, direttore del museo, e scaturita dalla collana Archivi di Nuova Figurazione curata da Silvia Bodini e Luca Pietro Nicoletti, si compone di poche tele. Questi exempla del lungo itinerario pittorico dell’artista milanese scandiscono le tappe della ricerca artistica cerettiana, ma non sono neppure disgiunte dalla possibilità di una loro lettura attuale, come le due tele, Suicida, 1957 e Tavolo di lavoro (essere qui ora), 1997, che non sfuggono ad un’interpretazione, sia pure -se vogliamo- solo emotiva, legata alle contingenze di questo travagliato periodo.

Analisi di un racconto – Studio organismo, 1959

La prima opera ad avviare il percorso è Analisi di un racconto – Studio organismo, 1959, efficacemente inquadrata entro la cornice della porta che immette nella seconda sala, ove l’opera è allestita. Un lavoro spiccatamente informale, in cui la figurazione si è ormai disfatta e l’oggetto, il motivo di partenza, si fa indefinito, nudo, mostruoso, e come osservato nel momento del suo costituirsi (o disfacersi), attraverso decise pennellate, netti segni grafici contrapposti a volute e a tocchi atmosferici di colori carnali e organici. Si prosegue con due tele del 1964 (in cui la pittura si carica di autobiografismo: Dal diario di E.D.C. dove E.D.C. è lo stesso Ceretti; e In memoria di Bepi, l’amico e compagno di strada Bepi Romagnoni morto giovane e tragicamente), e si continua in grandi balzi fino al 2004, attraverso un percorso in cui si assiste ad un farsi progressivamente più composto di una pittura aperta a suggestioni contenutistiche (Figura bersaglio, 1969, ricorda l’atteggiamento tipico di un periodo che doveva individuare un nemico) e memore di varie conquiste formali (Figura probabile, 1996, trasporta in sé ricordi baconiani -del 1958 è la prima mostra italiana di Francis Bacon, tenutasi a Torino-).

Per meglio apprezzare la mostra è consigliabile salire al primo piano, dove, in collezione permanente, è possibile vedere il suo Pollo, 1956. Qui la poetica dell’oggetto, della realtà quotidiana che agitava le correnti realiste della cultura italiana coeva, risalta in tutta la sua semplicità, con l’ausilio di una pittura ‘grezza’, conscia delle esperienze pittoriche più valide delle avanguardie e contemporanee, impiegate per esprimere i contrasti e gli spiriti della realtà di quegli anni, il pollo appeso e sospeso in un campo indefinito e indecifrabile si fa segno delle difficoltà quotidiane del dopoguerra (realismo…) e, unitamente, di quel ‘male di vivere’, di quella ansiosa ricerca di comprensione del recente passato e soprattutto quasi di ‘ri-messa in forma’ di una vita che quella generazione, affacciantesi alla vita adulta, doveva affrontare (…esistenziale). 

Figura bersaglio, 1969
Figura probabile, 1996

“Si può dire che la pittura di Ceretti sia un’osservazione delle cose senza abbellimenti, un’indagine sulla durezza della vita. E la vita, nei suoi quadri, è racchiusa nei confini della scena quotidiana, ma al tempo stesso si allarga a vaste zone d’ombra.” Così Elena Pontiggia, autrice di uno degli scritti del catalogo che correda la mostra.

Vi è una sorta di schietto riconoscimento dell’esistente e della condizione in cui esso si dibatteva; una presa di coscienza, insomma, legata alle cose in ‘carne ed ossa’, una scoperta fenomenologica. E questo, forse, giustifica quell’altra definizione nella quale Giorgio Kaissierlan, uno dei primi critici a occuparsi di questi giovani, li raccolse: ‘realismo fenomenico’.

Mancato ritratto, 1969

Nella pittura di Mino Ceretti “l’osservazione delle cose” -continua Pontiggia- “è accompagnata dalla consapevolezza che la visione non è mai totale. Assomiglia piuttosto a un mosaico che non sta insieme. Il sentimento della frammentarietà, della parzialità e della precarietà della visione, lo ritroveremo lungo tutto il percorso dell’artista.” Infatti, il Mancato ritratto, 1969, un volto, o meglio, il ricordo di un volto squadernato sulla tela, è disperatamente tenuto insieme da alcune graffette. Una figurazione tutt’altro che quieta, e forse non poteva essere diversamente, “alle certezze dell’immediato dopoguerra” -ancora Pontiggia- ” subentrano infatti interrogativi drammatici, soprattutto dopo l’invasione russa in Ungheria (1956). Ma anche il panorama artistico è ora ben diverso da quello del decennio precedente: i giovani della generazione di Ceretti hanno più occasioni per conoscere le avanguardie moderne: le proposte della Biennale di Venezia (cubismo, futurismo, i fauves; Soutine; il neoplasticismo; Mirò, Ernst, De Kooning); le grandi mostre milanesi: Van Gogh, Picasso. E poi ci sono le esperienze lombarde: concretismo, spazialismo, nuclearismo che contribuiscono a una formazione aperta e variegata.”

In conclusione si può dire che è indubitabile, comunque, che il soggetto di questa pittura sia sempre l’uomo, nelle sue difficoltà di vivere, nel suo malessere esistenziale, infine nel faticoso tentativo di ricomporsi. Ma già solo soffermandosi su alcuni titoli (Pittore-Pittura, 1978, o il già citato Tavolo di lavoro) s’insinua un’idea. L’idea che sopra tutti i singoli momenti pittorici che l’artista ha attraversato si avverte la presenza di un unico grande velo che si posa su di essi raccogliendoli e trattenendoli in unità; sopra tutte le varie ‘poetiche’ affrontate dall’artista resiste una vibrata, gagliarda, quasi sfacciata, coscienza dei diritti della pittura, del fare pittorico (significativo, a questo riguardo, è proprio l’ultimo quadro in rassegna, Pietra, 2004, in cui l’autore dipinge segni rupestri, lettere alfabetiche antiche proprio ad affermare la forza di un tracciare segni che è insieme pittura e contenuto, disegno e idea, decorazione e concetto). Arte pittorica che si è fatta, veramente, ‘destino’ per l’uomo Ceretti.


Museo Floriano Bodini, via Marsala 11, Gemonio (VA) – 9 maggio 2021 ¦ 13 giugno 2021

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