Arte contemporanea Mostre

Elizabeth Peyton – Practice

Practice” è una carrellata di circa 40 opere, con particolare attenzione per quelle realizzate negli ultimi dieci anni, che presenta, nella prima personale in Cina, il lavoro dell’artista americana Elizabeth Peyton (Danbury, Connecticut, 1965) e comprende disegni, quadri e stampe degli ultimi trent’anni di carriera. I soggetti preferiti dei suoi quadri sono i ritratti di amici e artisti, figure storiche e politiche, nei volti dei quali va alla ricerca -affermano gli organizzatori- del carisma e della forza individuale che proprio dai volti traspare.

Allestimento
Napoleon, 1991

La mostra riprende, parzialmente, quella organizzata alla National Portrait Gallery del 2019 (“Aire and Angels”), che metteva a confronto le opere dell’artista americana con quelle della collezione permanente ospitata dalla istituzione londinese. “Practice”, invece, è una riflessione principalmente sul lavoro dell’artista. Il titolo si riferisce alla pratica, attività intesa sia come allenamento metodico, sia come continuo processo artistico sia come corpus di lavori, infatti mette in mostra gli sforzi e i progressi della Peyton attraverso l’impiego di vari medium (tra i quali pastelli, acquerelli, dipinti a olio, stampe).

Peyton dipinge tutti suoi soggetti, siano essi conoscenze personali o figure storiche, con il medesimo senso di ammirazione. Ogni ritratto fissa un momento preciso (sotto questo aspetto il suo lavoro ha un che di fotografico) anche se indecifrabile.

C’è una caratteristica nell’arte di Peyton che colpisce: è la fascinazione di questa pittura che risiede nella strana capacità dell’artista di dotare ogni lavoro di una sensazione di elusività. L’immagine non si dà mai alla perfetta comprensione.

sx: Two Women (after Courbet), 2012; dx: Irises and Klara, 2016

Quel miscuglio di illustrazione giornalistica, animazione, tardo realismo e impressionismo francesi produce uno strano senso di dejà vu e originalità, che si situa in una qualche parte difficilmente individuabile dell’opera (forse, nello spazio che distingue quei colori che non sono propriamente realistici, ma neppure totalmente falsi; oppure nei tratti androgini dei volti od anche nel segno efebico che caratterizza gli sguardi dei suoi personaggi). 

Kurt Cobain, 1995

Personaggi. È forse il termine più adatto per definire i soggetti che essa ritrae; personaggi in un duplice senso: sono personaggi perché sono uomini e donne molto famosi, oppure noti all’interno del mondo artistico di cui l’autrice è parte; ma anche perché, sebbene riconoscibili, i disegni, gli olii non sono propriamente ritratti, ma piuttosto sono la raffigurazione delle maschere di un personale spettacolo allestito nella mente della Peyton. Ed è la mente di una “ragazza” da sempre affascinata dai VIP, dallo starsystem (attori, cantanti, ma anche politici, artisti, galleristi, figure storiche…). Questo miscuglio, dunque, costituisce proprio la fascinazione che promana dai disegni e dai quadri della Peyton.


Colin de Land, 1994
Princess Elizabeth’s first radio address, 1993

Di cosa ci vuole parlare quest’artista ben inserita nella cultura del nostro tempo è difficile capirlo. Probabilmente della malìa che fama, notorietà, celebrità sviluppano nei suoi confronti ed anche nei nostri. Anche qui, però, con un’amalgama di distacco e partecipazione, di amore e indifferenza. È innegabile che la Peyton abbia una vera capacità di far parlare i volti. Il piccolo formato delle opere non ostacola o indebolisce il loro vigore eppure quel che dicono è spesso ambiguo. Quello che si è detto per i colori può essere ripetuto per la sua pittura e per il suo disegno: non è falso, eppure non è totalmente vero; non sono ritratti psicologici, ma non sono neanche la riproduzione delle fattezze “reali”. I soggetti rappresentati sono colti in quel momento di “svuotamento”, di allontanamento da sé stessi che l’esperienza ci fa riconoscere nello sguardo “perso nel vuoto” e in cui l’esistenza sembra dimentica della contingenza, della determinatezza che sempre la caratterizza e pare potersi riempire del tutto e del niente. È questo preciso istante che la Peyton afferra per colmarlo del proprio occhio affettuoso, del proprio incanto, per proiettarvi la propria percezione dei soggetti. Anche quelli più realistici soffrono di questa duplicità (il ritratto Angela Merkel –Angela, 2017-, è significativo sotto questo profilo).

Angela, 2017

Il problema del lavoro della Peyton, sicuramente raffinato e tecnicamente fluido tutto giocato tra frizzantezza giovanile e posato mestiere, è che presenta una certa mono-tonia e una sorta di ripiegamento solipsistico. In fondo, lo sguardo della maggior parte dei suoi ritratti è sempre molto simile. Sempre un’aria distaccata e distratta, quando non sognante, posiziona i soggetti in una sorta di limbo; un limbo costruito dall’artista stessa che in esso organizza i suoi personaggi, appunto. Sembra avere lo stesso trasporto per Napoleone, Frida Kahlo, Kurt Cobain, Colin de Land, Angela Merkel… e mi chiedo come possa essere.

Twilight, 2009

Il suo particolare modo di dipingere e disegnare, i particolari cromatismi, dipendono in parte anche dal fatto che l’artista ritrae, non solo dal vero, ma spesso da fotografie, da fotogrammi, insomma da riproduzioni. Frequentemente, la riproduzione è a sua volta ri-fotografata, anche più volte con la conseguenza che l’immagine subisce distorsioni e modifiche cromatiche: il risultato di questa operazione, ciò che l’artista si ritrova fra le mani, è una cosa bell’e fatta (“a readymade thing” come dice), che sembrerebbe essa si limiti a riportare sul supporto…

Sicuramente, però, il lavoro dell’artista americana è un inno alla pittura figurativa e al genere del ritratto. Una chiara affermazione che la figurazione può essere vitale e suggestiva. Ed anche che al volto umano libero, aperto, non possiamo rinunciare.

UCCA Beijing, 798 Art District, No. 4 Jiuxianqiao Road, Chaoyang District, Beijing 100015 ¦ 15/8/2020 – 29/11/2020

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