Arte contemporanea Mostre

Ultrareale

Diciamolo subito, senza indugio alcuno: il cimento pittorico è superato, ampiamente e senza dubbio; la maestria del disegno è tale che sembra eccedere la capacità che mano umana possa possedere quando essa sia armata di bastoncino ornato di setole o una penna a sfera. Eppure i risultati sono lì, davanti ai nostri occhi, riuniti in questa mostra collettiva che Punto sull’arte allestisce fino al 4 giugno, intitolata “Ultrareale”, che bordeggia quel lato della pittura figurativa in cui la mimesi del reale è elemento imprescindibile del proprio linguaggio.

Bernardi, Rainbow, 2022
Bernardi, Climbers IX-03, 2022

Roberto Bernardi (Todi, 1974) porta l’esibizione warholiana della superficie, mantenendone gusto e cromie, in una pittura di chiara matrice iperrealista (disorientante la resa delle pieghe trasparenti del cellophane in Rainbow, 2022), con la quale pare voler sfidare la Realtà. Le sculture dell’artista, entrando nello spazio fisico, rafforzano questa volontà di confronto che riattualizza quello tra creazione e realizzazione artistica. Qualunque corno della sfida si prenda, nello spettatore non verrà, comunque, mai meno quel sentore di instabilità che si avverte in situazioni in cui percezioni e concezioni perdono limiti certi.

Con il duo Casagrande&Racalcati (Sandra Casagrande, 1968 e Roberto Recalcati, 1969) i confini dell’ultrarealtà si slabbrano e si fanno i primi passi entro un orizzonte pittorico più abituale: affiancati a turgidi tulipani o rose in appassimento iperrealisti, sono esposti enseble floreali perfetti e dettagliati come una natura morta fiamminga in cui, tuttavia, la presenza di elementi incongrui e l’impostazione immaginifica attenuano l’effetto iperrealista e ci portano dentro un piano in cui la pittura torna a farsi -diciamo così- ’visibile’, torna cioè a ricollocarsi dentro confini più delimitabili. La figurazione qui si lascia guidare dall’immaginazione degli artisti e crea paesaggi inesistenti, popolati di oggetti eterogenei: uova, occhi, porzioni di statue, insetti, animali. Il serpente è protagonista stabile in queste composizioni e ‘insinua il calcagno’ dello spettatore che avverte, nella diabolica presenza, l’ambigua sensualità e pericolosità della bellezza: la bellezza racchiude potenzialità generative (e l’uovo sta lì a ricordarlo) ma di quale frutto sia portatrice non abbiamo certezza. In queste opere la collaborazione dei due artisti è tale che essi stessi ammettono di non essere sempre capaci di distinguere le porzioni del quadro affidate all’uno o all’altra.

Casagrande&Recalcati, Ipervanitas 1641 (capriccio VIII), 2022
Ceci, IMPIANTO No.20, 2020

La successiva sezione dell’esposizione è occupata da Valentina Ceci (Milano, 1985) e dai suoi precisissimi paesaggi industriali e urbani disegnati con penne a sfera. Al centro della tela (la Ceci disegna su carta poi applicata alla tela) una struttura (un impianto, un ponte) emerge (o viene inghiottita) da una nebbia che pare lasciare sospesi in una qualche porzione del cielo queste gigantesche costruzioni che l’ingegneria civile è in grado di realizzare. Un’estetica, quella di Valentina, che non è priva di certe suggestioni orientali. Soprattutto nelle opere dalle cromie terrose (quasi monocrome) si vede bene come la composizione sia giocata sul rapporto tra il disegno della struttura e la resa atmosferica della nebbia, tra il pieno del primo e il vuoto della seconda che ordinano la superficie in diversi livelli di profondità. In Impianto No 13A, 2018 l’organizzazione formale è articolata ad un grado ancora maggiore per la presenza (in basso a sinistra) di una composizione poetica che fornisce un ulteriore assetto, formale e concettuale, al lavoro.

Ceci, Impianto No.21, 2020
De Lucchi, Primi Giorni d’Autunno, 2018

Ottorino de Lucchi (Ferrara, 1951) è protagonista della successiva sezione. In questa collettiva presenta una serie di piccole, classicissime e raffinate nature morte, realizzate con la tecnica dell’acquarello a secco su tavola. L’aggancio caravaggesco è inaggirabile sia per i soggetti (cesti di frutta), sia per l’impiego di potenti effetti chiaroscurali, sia per la composizione. Come la Canestra di frutta, 1599, di Caravaggio pesava sulla porzione bassa del quadro, così, qui, il peso del soggetto grava anch’esso sulla parte inferiore del dipinto, solitamente sostenuto da piani d’appoggio dai quali talvolta sporgono i contenitori con effetto di tridimensionalità. Lo sfondo neutro e scuro, da una parte, eleva a protagonista la semplicità della rappresentazione di oggetti quotidiani, dall’altra, sottrae questi ultimi proprio dalla quotidianità collocandoli in una dimensione astratta. Astratti dalle relazioni che nella realtà questi frutti avrebbero, isolati solipsisticamente, essi sono sottoposti ad una sperimentazione di tipo scientifico con cui l’artista saggia effetti compositivi e di luce che scorre, talvolta, in maniera impossibile sulle superfici (Primi giorni d’autunno, 2018). Soprattutto evidente quando l’andamento figurativo è orizzontale, la ritmica musicalità dei dipinti apre un discorso che forse è principalmente logico-analitico ad una dimensione più emozionale e meno razionale: la ‘freddezza’ dell’analisi è avvolta in una trama poetica accentuata dalla maestria con cui De Lucchi rende tattili le superfici che dipinge e dalla scelta dei titoli che riportano tutte le opere ad una dimensione narrativa.

Nannini, Interno con letto, ciabatte e tappeto, 2022

Se le opere di De Lucchi richiamano un passato lontano, quelle che Nicola Nannini (Bologna, 1972) presenta a Varese sono legate all’arte contemporanea. L’artista bolognese offre una serie di interni (le sue camere da letto con il giaciglio sfatto non possono non riportare alla mente una versione più gentile ed educata di My Bed dell’artista inglese Tracy Emin) che si muovono su un registro emotivo hopperiano: una sensazione voyeristica percorre lo spettatore che osserva il quadro ma la domanda è: stiamo violando l’intimità altrui o sono nostre le vicende che questi frammenti raccontano? Domanda lecita; poiché la figura umana è assente, pur essendo invece presenti le tracce del suo passaggio, lo spettatore è spinto a chiedersi quale vita stia spiando (la propria o l’altrui?)

Formalmente queste ‘storie’ sono narrate con prospettive eccentriche e punti di vista scorciati che ci trasportano dentro il quadro il cui punto d’ingresso è indicato da coperte, tappeti, drappi od oggetti appoggiati ad uno dei lati e che sono parzialmente lasciati fuori dall’inquadratura.

Nannini, Interno con letto e due fonti di luce, 2020

Un rilievo finale sulla mostra. Di tutti gli artisti esposti, il vero e proprio confronto con il Reale, inteso con quell’insieme di oggetti che circonda le nostre esistenze, sembra essere ingaggiato principalmente da Bernardi e Nannini (e in parte anche da De Lucchi); sono questi autori, infatti, che lo affrontano in maniera diretta, cercando di riportarlo sulla tela senza mediazioni. Ed è curioso che siano proprio i due artisti che impiegano le tecniche più distanti. Né l’uno né l’altro, in verità, pare vogliano andare ‘oltre’ il reale. Essi sono più interessati a riprodurlo. Il primo, però, lancia una sfida diretta alla Realtà (la realtà prodotta dall’uomo, i soggetti dei suoi lavori sono, infatti, merci dell’industria alimentare), e quasi dice: “Guardate come io, con la mia arte, riesco a realizzare cose più vere del vero”. La pittura diviene così il trucco magico che deve rimanere invisibile allo spettatore, la tecnica realizzatrice che deve essere nascosta dal prodotto finale; insomma lo strumento occulto con il quale si fanno le cose. La confusione tra opera d’arte e realtà quotidiana è espressa al massimo grado. Non per nulla, Bernardi è l’unico artista a proporre delle sculture -qui il confronto con il reale si gioca proprio nello spazio tridimensionale.

Nannini esprime una filosofia differente. Per il Bolognese, la pittura è un mezzo di comunicazione e di analisi, non deve essere nascosta (nelle sue tele la pittura denuncia la sua presenza: ai margini la pennellata si fa più grossolana e la tela rimane visibile). La realtà è un’occasione per indagare il nostro rapporto con le situazioni e con gli oggetti: con le stanze che abitiamo e gli oggetti che usiamo. Tutte queste cose sono calate dentro quel tessuto di relazioni, di emozioni, di sfruttamento che caratterizza il nostro quotidiano. 

A differenza di quanto fa Bernardi, Nannini cerca di mantenere i letti o le poltrone che raffigura connesse a qualcosa di altro da quello che sono; in altre parole, ciò che è proposto allo spettatore non è l’oggetto dipinto, ma il ‘suggerimento’ della trama di relazioni che egli, lo spettatore, sa che può essere instaurata con l’oggetto della rappresentazione. 

In questi sensi, né l’uno né l’altro vanno oltre il reale. 

Concludo. Semplice e rincuorante giunge una constatazione di cui questa mostra è un esempio: non solo la pittura è viva, ma nutre vigorosamente l’arte contemporanea. E sia detto en passant parliamo proprio di pittura figurativa!

Punto sull’arte, viale Sant’Antonio, 59/61, Varese – 7 maggio 2022 ¦ 4 giugno 2022

nota: tutte le fotografie sono gentilmente fornite dalla Galleria.

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